Se per effetto della pandemia da Coronavirus siamo chiusi in casa per sfuggire al contagio va bene. Ma quanto sono sicure le nostre abitazioni?
Negli ambienti di lavoro siamo tenuti a rispettare la salubrità e la sicurezza mediante applicazione della Legge sulla Sicurezza dei luoghi di lavoro (Dlgs 81-2008) ma negli ambienti residenziali non c’è tutela.
Quanto le nostre case sono protette da agenti, non solo patogeni e polveri, che circolano nell’atmosfera?
E’ necessario allora porre la giusta attenzione agli inquinanti indoor se vogliamo fare della nostra casa il luogo dove trascorrere la giornata di relax o lavorativa che sia.
Il Radon è una minaccia ai polmoni che esiste da molto prima dell’arrivo del Sars-Cov 2 (si veda ad esempio la Raccomandazione Euratom 143 del 1990 di ben oltre 30 anni fa). Certo, questi rischi non sono in cima ai nostri pensieri eppure questi pericoli esistono, sono ben presenti ed ampiamente documentati.
L’ispettorato per la Sicurezza Nucleare – ISIN – ha censito almeno 500 mila case esposte al rischio radon, un gas radioattivo molto pericoloso, impossibile da identificare con i nostri sensi ma non per questo di scarso interesse sanitario.
L’ISIN ha inserito questo dato preoccupante – tra tanti altri meno gravi – nel suo Rapporto “La sorveglianza della radioattività ambientale in Italia”. Un documento fondamentale per capire lo stato di salute delle nostre città e cercare di tutelare la salute delle persone.
Di questi tempi, pieni di preoccupazione per il coronavirus, il documento va letto con intelligenza, senza aggiungere ansia sui rischi a cui siamo esposti ma per alzare il livello di guardia e proteggerci il più possibile in questi momenti in cui lo smart working è più diffuso portandoci a vivere le nostre abitazioni più del solito.
Il radon è un gas naturale radioattivo conseguente al decadimento del radio e entra nelle nostre abitazioni dalle rocce di fondazione e dai materiali da costruzione. Tutto in maniera naturale. Il guaio è che milioni di italiani se lo trovano negli edifici (inquinamento da radon indoor), con concentrazioni variabili. Su 31 milioni di abitazioni censite sul territorio nazionale più di 500.000 (circa l’1,7%) presenterebbero livelli di radon superiori a quello di riferimento di 300 Bq m-3 (Becquerel per metro cubo) fissato a livello europeo nel 2013 e finalmente anche nel nostro paese con il Dlgs 101-2020.
Sul sito del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente si nota che nel 2018 (anno dei dati del rapporto), “i valori di concentrazione dei radionuclidi, indicatori della presenza di radioattività nell’ambiente derivante dalle attività nucleari, non hanno alcuna rilevanza dal punto di vista radiologico e sono tali da non costituire alcun rischio di tipo sanitario. La presenza di questi radionuclidi – cesio137 e stronzio90 – nell’ambiente è derivante dalle ricadute degli esperimenti atomici condotti in atmosfera nel dopoguerra e dall’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl”.
Il radon al contrario è presente con livelli elevati in Lombardia, Lazio, Campania, Abruzzo, Piemonte, Veneto etc.
In Lombardia ad esempio, la Regione più colpita dal Covid 19, le case a rischio sarebbero circa 200 mila (4,1% del totale).
Non ci sono relazioni scientifiche o valutazioni tecniche tra coronavirus e radon; entrambi toccano l’apparato respiratorio. Pensiamo che bastino valutazioni sociali e sanitarie per dire che la Lombardia è una Regione ricca, ma che ha gravissimi problemi ambientali che finiscono per accrescere contaminazioni di ogni tipo.
A livello nazionale, dice il Rapporto ISIN, la concentrazione media radon stimata (70 Bq m-3) è superiore alla media europea (55 Bq m-3) e a quella mondiale (40 Bq m-3). Un quadro che inquieta, poiché il principale pericolo è che il gas viene inalato e rappresenta la prima causa di tumore al polmone dopo il fumo.
“Inspirato in quantitativi in eccesso e per periodi prolungati, può provocare seri danni alla salute, in particolare ai polmoni, qualificandosi come seconda causa di rischio per l’insorgenza di un tumore, dopo il fumo”, hanno spiegato all’Istituto Veronesi.
Stimare la presenza o la concentrazione di questo gas negli ambienti domestici o di uso quotidiano come le scuole o i luoghi di lavoro, soprattutto se interrati – dove di norma si trova maggiormente – non è semplice poiché le concentrazioni possono variare sia da locale a locale sia nel tempo, tra giorno e notte, estate e inverno e tra diverse condizioni meteorologiche.
A causa di queste fluttuazioni, per avere una valutazione attendibile del quantitativo medio di radon presente nell’aria di un ambiente, è necessario procedere a una misurazione per un periodo prolungato, da 3/6 mesi almeno. L’ideale sarebbe procedere a una misurazione su base annuale, effettuandola con appositi strumenti denominati dosimetri passivi Radonalpha-C in grado di registrare le tracce delle radiazioni emesse, proporzionali alla concentrazione del gas nell’ambiente.
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS), con il Piano Nazionale Radon italiano (di seguito abbreviato in PNR), previsto esplicitamente dall’“Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome sul documento: «Linee-guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati»”, del 27 settembre 2001, pubblicato sul Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale, n.276 del 27 novembre 2001 – Serie generale, tiene sotto controllo il fenomeno e conferma che il 10% dei decessi per cancro ai polmoni è legato all’esposizione al gas radon.
Più di 4 mila Comuni sono in possesso dei dati rilevati in particolare per le abitazioni situate a diversi piani o tra quelle ai piani terra.
Per difendersi dal radon – aggiungono alla Fondazione Veronesi – grazie alla sua volatilità, la prima prevenzione è la costante areazione dei locali dove il gas è presente.
Consigli utili per chiunque, e da seguire se si è a conoscenza del rischio o a procedere ad un monitoraggio se ancora non lo si è fatto.